Jamais
avoir peur diceva
Charles de Foucauld
Un
mistico cristiano, non ti sarebbe dispiaciuto
Come
motto, credo, te comunista, te anarchico
Che
macinavi pensieri dentro un macinino
Ascetico,
appartato, la tua cella di libri somigliava
Alla
stanza di Hanta di Hrabal...
Ma poi
dormivi in una camera sponsale
Vegliata
da una bandiera di lotta
Sopra la
testa, quasi a guidare i sogni
Forse per
questo uscivi la mattina
Disposto
ancora a uno stupore, solubile
A
un'esperienza di communitas
Ti
ci davi del tutto, come a dire: non lo sappiamo
Se non
sia proprio qui, nascosto, l'annuncio di un futuro
Proprio
come un mistico vero: ascetico in privato
Politico
fino a dissiparsi, là nello spazio pubblico
E
poi però di nuovo aristocratico, goloso
Per
rimanere umano, cioè imprendibile.
Manca,
caro Claudio, a questo mondo
Un
po' di più di questa verità: calda, arbitraria
Che
ha dietro sì un edificio fattuale però anche
Un'ombra
controfattuale, visionaria
Che
poi è l'intelligenza dei bambini
Oppure,
appunto, dei contemplativi.
Come
amavi gli esordi!
Di
tutti, di ogni cosa: gli esordi
Là
dove zampilla la natura, non ancora corrotta
Ridotta:
ad abitudine, a stile, a strategia,
Come
un antico taoista, ne eri vorace, entusiasta.
E
però avevi una maieutica discreta, brusca persino
Filtrata
da un'educazione politica, e familiare
Forse
anche da un carattere
Lontano
miglia dall'autobiografismo
Dal
piagnisteo, chino sul generale
L'universale,
il comune, il necessario.
E'
stato forse doloroso, nel profondo,
Questo
pegno, questa tua fedeltà
Però
ha pulito, ha levigato lo stile
E
resa definitiva la pazienza
Venato
di stoà quel tuo taoismo.
Dentro
gli umani si compie una battaglia
Bella,
che dura a lungo, dura sempre
Ti
appassionava questa lotta
Tra
libertà e doveri, tra coscienza
E
grida di un corpo naturale, di una mente
Finalmente
slegata, che ha smesso di mentire.
Un'utopia
concreta, che costruivi di continuo
Nessun
palco, nessuna occasione
Sembrava
indegna anche solo di un accenno
Un
consiglio, uno sprone
In
questa direzione:
Decostruttore
cocciuto anche tu
Come
i grandi novecenteschi, eppure
C'erano
sempre dentro le tue parole
Le
basi di una possibile pars construens
Non
una serra per le roselline: un giardino!
Spronavi
l'istituzione, già impigrita
Qualche
cosa di ancora mai pensato
Qualche
cosa di nuovo!
Esordire
anche noi, ogni volta, con chi esordisce
Esordire
per sempre: ecco la vita!
Senza
vampirizzare, stando in piedi
Vegliando
una crescita
Lasciando
essere avrebbe detto Eckhart.
Come
Basaglia, anche tu andavi al concreto
Chiedevi
all'istituzione che servisse.
Per
quanta intelligenza possedessi, ed era tanta
Vegliavi
che non schiacciasse l'esperienza
Il
tuo pensiero nutriva l'azione
In
un modo maschile: la generava, non la partoriva
La
vegliava, l'accompagnava per un po'.
E'
stato tutto una promessa di qualcosa:
La
tua vita dichiaratamente non eterna
Fisicamente
faticosa, un dare ed un ricevere
Gratuiti,
rubati a un tempo che corre.
E'
stata una lezione
Un'idea
scabra dello stare assieme.
Quello
che mi è mancato, non è da chiedere a te.
Lo
davi per scontato, il fatto d'essere parziale, limitato
Come
ognuna, ognuno, come ogni esperienza.
Solo
così si apre lo spazio a qualcosa, sembravi dire,
Tra
tutti noi, qualcosa di comune.
Già
solo il fatto di proporlo a noi
Alla
microsocietà dei teatranti
Era
qualcosa di eversivo, utopico:
Controfattuale,
appunto.
E'
stata un'opera di poesia concreta
Che
hai scritto a lato dei tuoi libri appuntiti.
E'
che ogni artista crede solo a sé, lo sai.
Tu
lo sfidavi invece a pensare che serve
La
somma sghemba di quel che si fa tutti, tutte.
Quest'organo
politico in noi, questo cuore
E'
quasi atrofizzato
Soffre
di un rimpicciolimento involutivo.
Speriamo
in tempi più turgidi
Dove
quest'organo, per necessità,
Riprenda
il suo funzionamento, sia irrorato.
Sempre
di più la tua lezione sarà attuale.
E
tu maestro di eterni esordienti.
Bologna, 18 marzo 2013
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