Estratti
dal discorso di Georges Bernanos
alle
Piccole Sorelle di Charles De Foucauld,
autunno
1947, Algeria.
E' vero
che siamo stati creati a immagine e a somiglianza di Dio.
Noi gli
assomigliamo più di quanto pensiamo, più di quanto i filosofi ci
lasciano pensare.
Creato
a immagine e a somiglianza di Dio: come
è misteriosa, terribile questa frase!
E
come ha perso, a poco a poco, con l'uso, il suo significato, come una
moneta perde la sua effigie dopo essere passata per troppe mani...
Quanti
di noi cristiani abbiamo veramente coscienza di essere a
immagine e a somiglianza di Dio?
Chi si preoccupa più del significato di queste parole così
sorprendenti?
Se
sono vere, allora non è l'osservazione delle cose che ci rivela il
mondo, il segreto del mondo sta dentro di noi, nel più intimo di noi
stessi, dove evidentemente non scendiamo mai. E perché non potrebbe
essere proprio in noi la chiave dell'enigma del mondo? Il destino
ordinario dell'uomo non è forse quello di cercare molto lontano,
spesso a rischio della propria vita, ciò che senza saperlo ha a
portata di mano?
Questa
chiave dell'enigma del mondo noi speriamo di trovarla attraverso
l'osservazione pratica delle cose ma in questa ricerca la scienza,
invece di collaborare con la natura la inganna. La scienza vuole solo
volgere a proprio profitto la maggior parte possibile delle colossali
risorse di energia dell'universo, impresa questa in cui l'umanità
finirà con l'essere stritolata tra la scienza e la natura come tra
l'incudine e il martello.
La
carne dell'uomo è fragile, i suoi nervi prima o poi dovranno cedere
per la tensione sempre crescente di una vita la cui attività normale
è decuplicata, centuplicata dall'uso delle macchine. La
macchina vi procurerà delle ore di svago si
predica. Ma nel paradiso delle macchine il riposo sarà più
sfibrante del lavoro, sarà il lavoro che farà riposare dalle ore di
svago.
Quando
dico che tutto lo sforzo dell'intelligenza porterà soltanto ad
impegnare sempre di più l'umanità in un'impresa i cui rischi
cresceranno continuamente, fino ad essere sproporzionati ai benefici
- non siamo forse già arrivati a rischiare l'esplosione del pianeta,
l'avvelenamento dell'atmosfera? - non ne segue che io disprezzi
l'intelligenza.
Se
è vero che siamo creati a immagine di Dio, come potremmo disprezzare
una delle più nobili facoltà dell'uomo? Voi mi direte che pur senza
disprezzarla l'ho dichiarata impotente. No, non impotente a trarre
profitto dalla creazione...Ma incapace di penetrarne il significato,
incapace di comprenderla nel significato preciso della parola.
Se
la creazione fosse opera della sola intelligenza, l'intelligenza
umana potrebbe fare di meglio che scoprire qualcuna delle sue leggi
per usare questa conoscenza come si usa una macchina. E non sarebbe
sempre così pronta a condannare la creazione nel nome della logica o
della giustizia.
Ma
la creazione è un'opera d'amore. L'intelligenza, ridotta alle sue
proprie forze, crede di trovare nella natura soltanto indifferenza,
crudeltà ma non scopre altro che la sua stessa crudeltà.
Propriamente parlando l'intelligenza non condanna la sofferenza ma
quella che le pare una anomalia, uno sperpero, una cattiva
organizzazione della sofferenza.
L'intelligenza
è più crudele della natura. Noi cominciamo a comprendere, per
esempio, che una società organizzata dall'intelligenza - o almeno da
quella forma degradata di intelligenza che si chiama tecnica - sarà
spietata, non solo verso gli elementi sospettati di non produrre o di
non consumare abbastanza ma anche verso chi semplicemente non andrà
d'accordo con la mostruosa coscienza collettiva.
Per
parlare solo dei malformati, la natura ne lascia sussistere a milioni
ma questi domani non sfuggiranno ai tecnici incaricati di mantenere e
accrescere il rendimento della colossale officina universale.
L'intelligenza non si ribella contro la sofferenza, la rifiuta come
rifiuta un sillogismo mal fatto, salvo poi servirsene lei stessa,
secondo i suoi metodi, dopo aver rimesso a posto il sillogismo.
Chi
parla del dolore come d'una intollerabile violazione dell'anima, o
anche di una pura assurdità, è sicuro dell'approvazione degli
imbecilli. E a fronte di un manipolo di ribelli sinceri, quanti altri
cercano invece nella ribellione contro la sofferenza una
giustificazione più o meno subdola della loro indifferenza e del
loro egoismo di fronte a quelli che soffrono! Diversamente, per quale
miracolo gli uomini che accettano, con tutta umiltà e senza
comprenderlo, lo scandalo permanente della sofferenza e della
miseria, sono quasi sempre proprio quelli che si dedicano con grande
tenerezza ai sofferenti, ai miserabili, gente come San Francesco, San
Vincenzo de Paoli?
Lo
scandalo dell'universo non è la sofferenza: è la libertà. Dio ha
fatto libera la sua creazione: questo è lo scandalo degli scandali,
tutti gli altri scandali vengono da questo.
Lo
so, qui sembra di essere in piena metafisica ma che ci posso fare? Se
mi faccio capire male è perché mi spiego male. Ma poi a che serve
spiegare?
In
questo stesso momento c'è nel mondo, in qualche chiesa sperduta, in
una casa qualunque, alla svolta di una strada deserta, un pover uomo
che congiunge le mani e dal fondo della propria miseria, senza sapere
bene quello che dice oppure senza dire nulla, ringrazia Dio di averlo
fatto libero, di averlo fatto capace di amore.
C'è,
in qualche parte del mondo, non so dove, una mamma che affonda il suo
volto in un piccolo petto che non batterà più, una madre che,
presso il figlioletto morto, offre a Dio il gemito di una
rassegnazione spossata, come se la voce che ha lanciato i soli nello
spazio come una mano lancia il grano, la voce che fa tremare i mondi,
le mormorasse dolcemente all'orecchio perdonami, un giorno saprai,
un giorno comprenderai ma ora quello che voglio da te è il tuo
perdono: perdonami.
Questa
donna sfinita, quel pover'uomo a mani giunte sono penetrati nel cuore
del mistero, nel cuore della creazione universale e nel segreto
stesso di Dio.
Cosa
vi devo dire: il linguaggio...è al servizio dell'intelligenza...E
quello che quei due hanno capito l'hanno capito con una facoltà
superiore all'intelligenza, anche se non in contrasto con essa...O
meglio: l'hanno capito per un profondo, irresistibile impulso
dell'anima che impegnava tutte le facoltà insieme, che impegnava a
fondo tutta la loro natura...Sì, nel momento in cui quell'uomo,
quella donna, accettavano il loro destino, accettavano se stessi,
umilmente, il mistero della creazione si compiva in essi, mentre
correvano così, senza saperlo, tutto il rischio della loro condotta
umana, si realizzavano pienamente nella carità di Cristo, diventando
essi stessi, secondo la parola di San Paolo, altri Cristi. Insomma,
erano dei santi.
Impegnarsi
interamente...Lo sapete: la maggior parte degli uomini impegnano
nella vita soltanto una piccola parte, una parte ridicolmente piccola
del loro essere, come quei ricchi avari che un tempo morivano perché
spendevano soltanto l'utile dei loro utili.
Un
santo non vive dell'utile dei suoi utili, neanche vive soltanto dei
suoi utili, vive proprio del suo capitale, impegna tutta quanta la
sua anima. In questo differisce dal saggio, che secreziona la sua
saggezza alla maniera di una lumaca che secreziona il proprio guscio
per trovarvi un asilo.
Impegnare
la propria anima! Non è un'immagine letteraria. E non bisognerebbe
nemmeno stiracchiarla troppo fino a darle un significato sinistro.
Se
si accetta la distinzione classica dell'uomo diviso tra corpo, anima
e spirito, c'è da dire con spavento che innumerevoli uomini nascono,
vivono e muoiono senza essersi nemmeno una volta serviti della loro
anima, sia pure per offendere Dio. Chi può riconoscere chi sono
questi disgraziati? E non possiamo anche noi appartenere in qualche
modo a questa specie? La dannazione non consisterà forse nello
scoprire troppo tardi di aver avuto un'anima assolutamente inutile,
ancora accuratamente piegata in quattro e deteriorata, come certe
sete preziose, per mancanza d'uso?
Chiunque
si serve della propria anima, anche se con estrema balordaggine,
partecipa subito alla vita universale, si mette in sintonia col suo
ritmo immenso, entra senza difficoltà, immediatamente, in quella
comunione dei santi che è la comunione di tutti gli uomini di buona
volontà ai quali fu promessa la pace, in quella santa Chiesa
invisibile che, come sappiamo, conta anche pagani, eretici,
scismatici, increduli, e il cui numero è noto soltanto a Dio.
La
comunione dei santi...Chi tra di noi è sicuro di appartenervi? E se
ha questa fortuna quale parte ha in essa? Chi sono i ricchi e i
poveri di questa comunità sorprendente? Chi sono quelli che danno e
chi sono quelli che ricevono? Quante sorprese!
Oh
certo, niente pare meglio regolato, più strettamente ordinato,
gerarchizzato, equilibrato della vita esterna della Chiesa. Ma la sua
vita interiore trabocca di prodigiose libertà, vorrei quasi dire di
divine stravaganze dello spirito, dello spirito che soffia dove
vuole.
Quando
si pensa alla severa disciplina che mantiene quasi implacabilmente al
posto stabilito ogni membro di questo grande corpo ecclesiastico, dal
più modesto vicario fino al Santo Padre coi suoi privilegi, coi suoi
titoli, direi quasi col suo vocabolario particolare, non sono forse
delle stravaganze quelle promozioni improvvise, talvolta troppo
improvvise, di oscure religiose, di semplici laici o anche di
mendicanti divenuti bruscamente patroni, protettori, dottori della
Chiesa universale?
Oh,
non si tratta di opporre la Chiesa visibile alla Chiesa invisibile.
La
Chiesa visibile non è soltanto la gerarchia ecclesiastica: siete
voi, sono io, perciò non sempre è gradita, anzi qualche volta è
stata anche molto sgradita, come nel secolo XV, al tempo del Concilio
di Basilea...In questi casi siamo naturalmente tentati di
rammaricarci che non sia la Chiesa invisibile, ci si rammarica che un
cardinale sia riconoscibile da lontano per la sua bella cappa
scarlatta, mentre un santo, durante la vita, non si distingue per
nessun abito particolare...
Lo
so: questa che sembra una battuta, per molte anime invece è un
pensiero torturante.
Ma
non è giusto ragionare come se la Chiesa visibile e la Chiesa
invisibile fossero due chiese, la Chiesa visibile è quello che noi
possiamo vedere della Chiesa invisibile e questa parte visibile della
Chiesa invisibile varia con ognuno di noi. Perché noi conosciamo
tanto meglio l'umano che c'è in lei quanto meno siamo degni di
conoscere il divino che c'è in lei. Diversamente, come spieghereste
una bizzarria come questa: che i più qualificati a scandalizzarsi
dei difetti, delle deformazioni, delle difformità della Chiesa
visibile, voglio dire i Santi, siano proprio quelli che non se ne
lamentano mai?
La
Chiesa visibile è ciò che ognuno di noi può vedere della Chiesa
invisibile, secondo i propri meriti e la grazia di Dio. E' troppo
bello dire vorrei vedere ben altro , non quello che vedo. Certo,
se il mondo fosse il capolavoro di un architetto scrupoloso della
simmetria o di un professore di logica, di un Dio deista insomma, la
Chiesa allora ci darebbe lo spettacolo della perfezione, dell'ordine.
In essa la Santità sarebbe il primo privilegio del comando e ogni
grado della gerarchia corrisponderebbe a un grado superiore di
santità, fino al più santo di tutti, il nostro Santo Padre.
Ma
dai! Vorreste una chiesa così? E vi sentireste a vostro agio?
Non
fatemi ridere! Invece che sentirvi a vostro agio rimarreste sulla
soglia di questa congregazione di superuomini, rigirando il vostro
berretto tra le mani come uno straccione alla porta del Ritz o del
Claridge.
La
Chiesa è una casa di famiglia, una casa paterna, e nelle case di
famiglia c'è sempre un po' di disordine, le sedie mancano d'un
piede, i tavoli sono macchiati d'inchiostro e i barattoli di
marmellata si vuotano da soli nelle dispense, queste cose le so, ne
ho esperienza...
La
casa di Dio è una casa di uomini, non di superuomini.
I
cristiani non sono dei superuomini. E neanche i santi sono dei
superuomini. Anzi meno che mai i santi, che sono i più umani tra gli
umani! I santi non sono sublimi, non hanno bisogno del sublime,
piuttosto il sublime avrebbe bisogno di loro! I santi non sono degli
eroi alla maniera degli eroi di Plutarco. Un eroe ci dà l'illusione
di essere al di là dell'umanità, il santo non sta al di là
dell'umanità: la assume, si sforza di realizzarla il meglio
possibile.
Capite
la differenza? Il santo si sforza di accostarsi quanto più vicino
può al suo modello Gesù Cristo, cioè a colui che è stato
perfettamente uomo, con una semplicità perfetta fino al punto da
sconcertare gli eroi rassicurando gli altri, perché Cristo non è
morto soltanto per gli eroi, è morto anche per i vili.
Quando
i suoi amici lo dimenticano i suoi nemici non lo dimenticano. Voi
sapete che i nazisti non cessarono mai di opporre alla santissima
agonia di Cristo nell'orto degli ulivi la morte gioiosa di tanti
giovani hitleriani. E' che Cristo vuole sì aprire ai suoi martiri la
strada gloriosa di un trapasso senza paura ma vuole anche precedere
ognuno di noi nelle tenebre dell'angoscia mortale. La mano ferma,
impavida può all'ultimo passo non appoggiarsi alla spalla di
Cristo...Ma la mano che trema è sicura di incontrare la sua.
Vorrei
concludere con un pensiero che mi ha sempre accompagnato in questa
conversazione come il filo del tesssitore che corre sotto la trama.
Quelli
che incontrano tanta difficoltà a capire la nostra fede hanno
un'idea troppo imperfetta della dignità eminente dell'uomo nella
creazione, non lo mettono al suo posto nella creazione, al posto a
cui Dio lo ha elevato per potervi discendere.
Noi
siamo creati a immagine e somiglianza di Dio perché siamo capaci di
amare.
I
santi hanno il genio dell'amore. E questo genio non è come quello
dell'artista, che appartiene a un piccolo numero di privilegiati.
Sarebbe più esatto dire che il santo è l'uomo che sa trovare in sé,
sa far sgorgare dalle profondità del suo essere, l'acqua di cui
Cristo parlava alla samaritana: chi ne berrà non avrà mai
sete...
In
ognuno di noi c'è la cisterna profonda aperta sotto il cielo. Certo,
la superficie è ancora ingombra di detriti, di rami spezzati, di
foglie putride da cui sale un odore di morte. Su questa superficie
brilla una specie di luce fredda e dura che è quella
dell'intelligenza ragionatrice. Ma al di sotto dello strato malsano,
l'acqua è subito tanto limpida e tanto pura. Ancora un po' più
addentro e l'anima si ritrova nel suo elemento natale, infinitamente
più puro dell'acqua più pura: quella luce increata che avvolge
tutta quanta la creazione: in lui era la vita e la vita era la
luce degli uomini.
La
fede che alcuni di voi si lamentano di non conoscere è in voi,
riempie la vostra vita interiore, è quella stessa vita interiore
mediante la quale ogni uomo, ricco o povero, ignorante o dotto, può
entrare in contatto col divino, cioè con l'amore universale, di cui
tutta la creazione è l'inesauribile zampillamento. Contro questa
vita interiore cospira la nostra inumana civiltà con la sua attività
delirante, col suo furioso bisogno di distrazione e con
quell'abominevole dissipazione di energie spirituali degradate
attraverso cui si disperde la sostanza stessa dell'umanità.
All'inizio
vi dicevo che lo scandalo della creazione non sta nella sofferenza ma
nella libertà. Avrei potuto dire benissimo: nell'amore. Se le parole
avessero conservato il loro significato, direi che la creazione è un
dramma dell'amore. I moralisti considerano la santità come un lusso.
Invece è una necessità. Finché la carità non si era troppo
raffreddata nel mondo, finché il mondo ha avuto la sua parte di
santi, alcune verità si son potute trascurare ma esse oggi
riappaiono come la roccia durante la bassa marea.
La
santità, i santi alimentano quella vita interiore senza cui
l'umanità si degraderà fino a morire. E' nella propria vita
interiore che l'uomo trova le risorse necessarie per sfuggire alla
barbarie o a un pericolo peggiore della barbarie: la schiavitù
bestiale del formicaio totalitario. Certo, si potrebbe credere che
questa non è l'ora dei santi, che l'ora dei santi è passata. Ma io
dico che l'ora dei santi viene sempre.
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